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Il Partito
che non c'era - on line IL DISGUSTO ED IL PICCONEIl malessere del regime e la disaffezione crescente della pubblica opinione si erano espressi a lungo nella forma dell'astensione dal voto. Una manifestazione, in effetti, non concludente, almeno nell'immediato, ed un sintomo non pienamente univoco, stante l'altissima percentuale di votanti che si era avuta in Italia a partire dal dopoguerra, così che la diminuzione continua di tale percentuale poteva anche apparire una tendenza all'assestamento su livelli fisiologici. Quello che nessuna statistica poteva attestare era la svogliatezza del voto, la scarsa convinzione delle scelte per lo più per abitudine e con rassegnazione se non per ubbidienza clientelare. E nessuna statistica e nessun sondaggio di opinione potevano misurare il disagio di fronte a manifestazioni di scadimento e di corruttela della vita pubblica, agli espedienti contorti cui erano e sono affidati gli equilibri del potere, alla crescente pressione delle tangenti e delle prevaricazioni, alla necessità di ricorrere a protezioni e raccomandazioni per ottenere anche le più modeste ed ovvie prestazioni da parte di qualsiasi ufficio, ente, potere pubblico. Il ripetersi di scandali di proporzioni sempre più rilevanti ai livelli locali e nazionali, se ha finito per creare una sorta di assuefazione e di rassegnazione, ha però cancellato ogni credibilità dei rimedi di volta in volta proposti, così come la generalizzazione dei sospetti nell'attribuzione di responsabilità ha finito per comportare il rifiuto del sistema e del regime nel suo complesso. Quello però che ha portato il dissenso e la protesta ad un punto critico è stato il diffondersi del convincimento dell'assoluta inconcludenza delle diatribe, dei contrasti, dei tira e molla tra i partiti di fronte ai problemi reali del paese, il senso dell'inganno e della finzione di tali contrapposizioni, destinate ad appianarsi immancabilmente di fronte alle lottizzazioni della gestione del potere reale. Gli alibi ed i diversivi sono sotto questo profilo, divenuti sempre meno efficaci. Nel periodo di tempo che va dall'ottantasette al novantadue, quello della decima legislatura, la perdita di credibilità del regime, la sua crisi, è andata accentuandosi con ritmo crescente. "Motus in fine velocior". La caduta rapida, improvvisa, la disgregazione dei regimi comunisti nell'Est europeo hanno avuto pure la loro parte. Ogni residua traccia dello "stato di necessità", sulla cui base il regime democristiano era nato ed era stato accettato dalla maggioranza del popolo italiano, veniva cancellata dall'immaginario politico del nostro paese. Allo stesso tempo l'accelerazione del processo di riconversione dei partito comunista, mentre contribuiva a far naufragare il progetto di una assunzione in tempi brevi da parte del partito socialista del ruolo di partito di tutta l'area della sinistra sul modello francese, tedesco, inglese e spagnolo, accentuava il carattere di piattezza e di omogeneità dei partiti tradizionali, già riscontrabile nei metodi di potere e nel sostanziale consociativismo del sistema. A questo punto è d'obbligo l'interrogativo circa il ruolo che, nella crisi del sistema politico e nell'esplosione del dissenso e della protesta contro il regime, hanno avuto le prese di posizione di Cossiga negli ultimi due anni della sua presidenza. Che le "esternazioni" di Cossiga abbiano contribuito a dare a tale crisi la forma e la dimensione che essa ha assunto tra il 1991 ed il 1992 non è dubitabile. Con Cossiga la crisi è divenuta, per così dire, ufficiale. Ma, così come nessuno dubita che le prese di posizione del Presidente non ne siano state la causa, vi è da dubitare fortemente che ne siano state anche soltanto l'elemento scatenante o solo la riprova necessaria. Che la crisi fosse in atto lo dimostrava il fenomeno dell'astensionismo elettorale, il nascere delle Leghe al Nord, che già alle elezioni del 1987 avevano dimostrato una consistenza non trascurabile, anche se disordinata, e che nelle successive elezioni comunali e regionali avevano dato prova di una potenzialità sorprendente di sviluppo. Cossiga, oltre che "ufficializzare " la crisi del sistema politico, ha contribuito in modo determinante a spostarne il peso sul piano delle istituzioni. Con lui la prospettiva del tramonto del regime è divenuta quella della Seconda Repubblica, quella del mutamento delle forze al potere è divenuta l'attesa della riforma istituzionale. L'uso delle riforme istituzionali come strumento per la soluzione, di problemi politici contingenti e di patologie del sistema politico non era nuovo. Nel suo messaggio alle Camere del luglio 1991 Cossiga volle ricordare di essere arrivato "buon ultimo" a propugnare riforme istituzionali. Che questa affermazione fosse una inaspettata manifestazione di modestia o l'affiorare della prudenza del giurista di fronte al concretarsi di un'ipotesi di attentato alla Costituzione, ha un'importanza relativa. Certo è che di riforme istituzionali si era parlato da tempo con grande disinvoltura, se è vero che a parlasse erano anche e soprattutto coloro che non avevano la minima idea della direzione in cui sarebbero state da indirizzare le riforme. Una pagina non bella della storia parlamentare e costituzionale del nostro Paese era stata quella della mozione sulle riforme istituzionali in base alla quale venne istituita la famosa "Commissione Bozzi". La Costituzione ne veniva menomata, quasi posta in quiescenza: veniva proclamata la sua obsolescenza senza che si desse mano a riformarla e nemmeno a indicare con chiarezza le parti da modificare e come modificarle. Anche la strumentalità della questione delle riforme istituzionali non era una novità. Craxi aveva lanciato "la grande riforma" in funzione dell'immagine del suo partito; ma soprattutto i comunisti avevano aderito con entusiasmo all'idea di riforme costituzionali, convinti che ciò avrebbe comportato di necessità la loro inclusione in una maggioranza riformista, realizzando e consolidando, alla fine, quella cooptazione anche formale del loro partito nell'area del potere che andavano inseguendo da tanti anni. Ciò apparve evidente durante la discussione della fiducia al governo De Mita, quando, oltre tutto, l'assassinio del povero senatore Ruffilli offrì l'occasione per l'esaltazione di una sorta di saldatura tra l'unità antiterroristica e quella per le riforme costituzionali. Tentativo un tantino grottesco e smaccato, del resto destinato al naufragio. Ma, se questi erano i precedenti, l'azione di Cossiga portava tuttavia ad una novità: quella di indicare la riforma costituzionale non come un espediente per una esigenza politica qualsiasi, per far fronte ad una qualche difficoltà contingente, ma quale mezzo di soluzione della crisi proclamata del sistema politico nel suo complesso e del partito di maggioranza relativa in particolare. Una ragione certamente più adeguata e credibile, che al contempo rappresentava in tutta la sua gravità la crisi politica e la caduta di credibilità delle forze politiche che si dividono il potere. Che poi sia possibile che le forze responsabili di tale degrado diano realmente mano ad una riforma delle istituzioni capace di rimuovere il sistema di potere cui di fatto è condizionato il loro ruolo e la loro esistenza, è un discorso diverso e, certo, quanto meno, ha il sapore del classico voler mettere il carro avanti ai buoi. Tutta l'azione politica di Cossiga, nel bene e nel male, e cioè nel sostanziale scavalcamento dei limiti costituzionali e nel mettere il dito sulla piaga della crisi del sistema politico creatosi attorno alla Democrazia Cristiana, aveva un senso ed una logica: quella della creazione di un partito capace di alterare e di capovolgere gli equilibri degli assetti di potere fatiscenti e contestati. Non il "partito del Presidente", ma il "partito di Cossiga", tale da attingere forza e legittimazione direttamente dal consenso e dal suffragio elettorale e non soltanto dall'autorità del Presidente, sia pure sorretto dal favore della pubblica opinione. Questo sbocco della politica del Presidente Cossiga è mancato, o almeno lo sembra al momento, né appare ipotizzabile e realistica una scelta simile in tempi più lunghi. Se il fatto che il Presidente della Repubblica non si sia messo a capo di un partito e non abbia dato mano alla sua costituzione può considerarsi positivo dal punto di vista dei doveri costituzionali, è però certo che la mancanza di uno sbocco politico, di un'opera diretta a battere e superare le forze politiche del sistema da lui bollato come fatiscente, ha, da una parte, contribuito a spostare la crisi di rigetto dal sistema di potere dei partiti consociati verso le istituzioni, in una prospettiva, quindi, in cui il mutamento dei gestori viene considerato, come prima si è detto, un effetto del mutamento delle istituzioni da essi gestite. D'altra parte, mantenute in questo ambito, le "picconate" di Cossiga hanno contribuito ulteriormente a far scivolare il dissenso e la protesta nel generico ed in una sorta di nichilismo politico ed istituzionale, nello scetticismo nei confronti della democrazia e nel disimpegno verso ogni responsabile scelta politica. Se così è stato, c'è da domandarsi se, pur avendo ufficializzato e drammatizzato la crisi della partitocrazia, Cossiga non abbia poi folto per dare una mano ai partiti, da lui bollati e screditati, a tirare avanti. Infatti per un sistema che ha perso la fiducia ed il consenso della gente, che la gente si rifugi nello scetticismo, nel disimpegno e nelle generalizzazioni denigratorie è certamente il minor male. Torneremo sull'"effetto Cossiga" quando verremo a parlare delle elezioni del 5 aprile 1992 e dei molti "effetti frenanti" che hanno operato sulla manifestazione del dissenso e della protesta nei confronti della partitocrazia e dei partiti tradizionali e quindi sul risultato delle elezioni stesse. Qui abbiamo voluto accostarci al "problema Cossiga" per delinearne alcuni aspetti, per così dire, intrinseci, rinviando ad altri capitoli considerazioni riguardanti i rapporti e le correlazioni tra l'azione di Cossiga ed altri aspetti e componenti del complesso sviluppo della crisi politica del 1992. |
CR Critica Radicale - 16/03/13 - E-mail: info@eclettico.org |