Donato De Renzis

CAMPOBASSO, 9 marzo 2002

AUTOCONVOCHIAMOCI

 

Ma si può continuare ad andare avanti così?
Un forum abitato sempre dalle stesse persone una specie di Grande Fratello alla radicale versione Web. Sempre le stesse cose, lo stesso linguaggio, gli stessi argomenti, le stesse invettive, le stesse inimicizie, le stesse inutili durezze e in qualche caso compiaciute volgarità. Molto cinismo dei critici dell’indifferenza. Tanta stanchezza coperta dagli appelli senza vita ‘al prendere parte’, delusione e rimpianti mascherati dagli appelli al volontarismo senza volontà. E poi l’umidità che a quintali si prendono quelli che raccolgono firme per una causa di cui sfugge giorno dopo giorno il senso.
Ovviamente io ho deciso, almeno per adesso, di starmene all’asciutto.
A proposito può parlare chi ha deciso di non morire per una causa che non c’è? Al talebano di turno che mi chiedesse ma tu che fai rispondo: altro, forse per voi niente. già perché voi non vedete che siete proprio voi che condannate tanti di noi a non fare nulla! Si perché siete proprio voi militanti che condannate noi e voi al nulla della azione! Di nuovo gli scioperi della fame, che hanno come unico risultato quello di suscitare un pudore, capace di ridurre al silenzio che la pensa diversamente, per un rispetto che comunque si deve a chi, sebbene inutilmente, li pratica! Ve lo ricordate l’ultimo della fame e della sete di Emma?
Ebbene non ha insegnato nulla.
Quando una parte politica diviene incapace di ascolto e di parola, incapace di imparare dall’esperienza perché ormai preda della deriva dell’inerzia, allora per davvero non c’è nulla da fare!
Una volta si poteva dire: o lo scegli o lo sciogli! Se oggi si dicesse la stessa cosa ti scioglieresti come l’ultima neve al sole della primavera. Smetto perché non ho più voglia di scrivere. Me ne verrebbe di più se qualcuno che forse condivide, e so che ve ne sono e tanti che magari non scrivono su questo forum, decidesse, e c’è chi potrebbe assumersi autorevolmente questa responsabilità, si decidesse per una autoconvocazione autofinanaziata all’ergife dell’area radicale. Non serve un congresso dei radicali italiani. Non serve un congresso formale con tanto di scenografia e palco per la ‘classe dirigente’. Ma un’assemblea, libera senza rete, senza iscritti, almeno per una volta, senza omaggi alla leaderschip, senza attese balorde per annunci profetici di verità di sapore millenaristico, così come pure mi è parso che in altri momenti della storia radicale si è fatto. Questo bisognerebbe fare. Se non si farà sarà lo stesso, tanto il sole continuerà a sorgere da est verso ovest comunque, malgrado i clamori e i furori di passioni senz’anima della politica nostra e del Paese.

In alcuni dei miei interventi nel forum ho scritto:

“Il fondamento della legalità sta nella consapevolezza che per gli uomini e le donne la garanzia del diritto alla vita, al benessere e al perseguimento della propria felicità, non risiede nelle persone individualmente prese, o nella presunta, innata bontà ma solo nella costituzione di giuste leggi capaci di vincolare i comportamenti umani a principi costituzionali aventi validità universale. Allora chiedo: se questo è un principio generale, non dovrebbe il comportamento di un leader essere in qualche modo legato a regole statuite cui egli è tenuto a rispondere? ……… Non amo la parola militante e non starò a spiegare perché. Ma io sono stato un militante che ha speso senza riserve, come tanti compagni che ho conosciuto nel movimento radicale, tanta parte del suo tempo di vita. Quanto vale il tempo di vita di un militante radicale? Ha un militante diritto ad immaginare delle ambizioni per il tempo di vita che egli dedica, che non si esauriscano solo della luce di attenzione che il leader dedica ad essi? Non hanno per esempio diritto a sentirsi riconoscere una particolare identità privilegiata nel movimento che essi animano, piuttosto che sentirsi anonimi signori a cui di tanto in tanto qualcuno chiede di fare qualcosa? (Ad esempio io non so se per l'elezione via internet del 25% del comitato sia stato previsto qualcosa per quei militanti che non hanno internet o hanno scarsa pratica con i PC. Chiedo: un distratto navigatore di internet vale quanto un militante che non sa navigare?). I militanti non dovrebbero godere di una speciale attenzione nella vita dell'organizzazione e avere qualche diritto in più di parola e di scelta rispetto a chi, magari per curiosità o altro, si avvicina a noi per sostenere le ragioni del movimento? Insomma le nostre assemblee sono definite congressi che dovrebbero decidere qualcosa. A volte si invita chiunque capiti a tiro così come il militante di sempre. E il diritto dell'ultimo arrivato a prendere la parola o alzare la mano per una votazione, vale come quello di chi da anni ha sacrificato non genericamente parte del suo tempo, ma parte del suo tempo di vita. Rispettare il tempo di vita offerto e donato da tanti militanti, significa definire regole di vita politica del movimento dentro le quali sia riconoscibile la praticabilità del loro diritto alla parola e alla deliberazione, siano chiare le responsabilità. Il potere politico non è solo quello che si esercita nell'espletamento di una funzione di governo di uno paese. Il potere politico lo si incontra ovunque nella società dove si stabiliscono relazioni umane e, quindi, nei movimenti e nei partiti organizzati. Pannella spesso ripete che il potere senza responsabilità è folle. E' vero! Però bisogna aggiungere che un potere è responsabile solo se la responsabilità è condivisa! O se sono state statuite, e costituite, le condizioni che ne permettono la condivisione”

Ho scritto:

“Però per quanto mi riguarda io non credo alla potenza salvifica per l’incivilimento liberale del nostro Paese, la frequentazione di Marco e Emma che so io, da Vespa a da Santoro. Anche se Marco e Emma fossero ogni giorno sui teleschermi io non credo affatto che per la battaglia politica e culturale liberale e libertaria cambierebbe molto. Per te, per me, per noi tutti, crederlo significherebbe solo manifestare un riflesso di un atteggiamento che ha come punto di partenza due dogmi: il primo consistente nel credere all’esistenza di potere demiurgico in parole, di cui solo possono Emma e Marco; il secondo nel ritenere che nella comunicazione politica, storica e culturale di questi giorni solo noi parliamo di certe cose e nessun altro. Penso che sia ragionevole credere che queste siano appunto delle assunzioni dogmatiche e spiego perché: 1) anche se Marco, Emma, Capezzone, Cappato, Bernardini, stesero tutti i giorni in televisione, noi faremmo pochi passi innanzi, perché lo stile “radicale” con cui si comunica non aiuta, ma finisce per danneggiare l’intendimento e l’accoglimento dei buoni concetti che si intendono comunicare. Lo stile è ossessivamente ripetitivo, comunica “verità” in una forma che è martellantemente assertiva, impositiva, assoluta, indiscutibile, vera, unica, in una parola teologica. Le cose che si dicono sono buone, ma il metodo e la forma della loro esposizione non adeguati. Questo spiega il perché della nostra incapacità di comunicare anche quando ne abbiamo l’opportunità. E questo è un serio limite se si considera che forse la vita concreta delle persone è assai più laicamente scettica di quanto noi siamo capaci di rappresentare. 2) E’ discutibile che noi siamo gli unici depositari di taluni argomenti, per cui se non siamo sui teleschermi scompaiono anche quelli. 3) Il nostro “americanismo” dovrebbe essere un po’ più ragionato, per non lasciare ad altri non beneintenzionati la critica verso alcuni errori dell’occidente nella storia degli ultimi decenni. La perdurante lamentazione per una esclusione che c’è, serve solo a rafforzare lo zoccolo duro. Non ci farà fare un solo passo avanti. Ci dite che dobbiamo tener duro. Sì, se questo non serve solo a fare l’apologia dello zoccolo duro, ma a crescere. Tra di noi c’è chi si intende assai di psicodinamiche di gruppo. E chi se ne intende sa che quando sì è costruito uno zoccolo duro, questo può durare almeno una generazione, perché gli zoccoli duri terminano solo con l’estinzione. Così quello di Bertinotti e di Cossutta. La psicologia dei membri di uno zoccolo duro è la stessa dappertutto. Puoi essere radicale o fascista, comunista o socialista, milanista o interista, laziale o romano, lo sei per la vita, come sei cattolico e mussulmano, talebano o taoista. Lo zoccolo duro, non mi piace, anche se so che è inevitabile. A me piace immaginare un vivere la politica dove si possano dire le proprie sciocchezze senza il timore di sentirsi rifilare: sei un imbecille. In cui la convinzione politica è sempre vigilata dall’ironia del dubbio, dove nessuno crede di essere il sale della terra. Di questo sale sono fatti molti deserti, compreso quello dell’Afganistan. E in questi deserti non vi sono regole certe per gli associati, e il “contraddittorio” semplicemente non esiste.”