Quando Marco disse: "Mai più come tali" e poi portò tutti a sciare
Dopo molti anni, nel corso dei quali avevo archiviato la vicenda della mia rottura con Marco Pannella e quel che restava del Partito radicale (non cento il mio passato radicale), gli ultimi casi di via di Torre Argentina mi hanno dato occasione di riandare con la memoria a quegli avvenimenti Se non altro per certi grotteschi parallelismi che mi è dato cogliere.
Dunque i radicali ma rispetto di certe deliberazioni congressuali di allora) dovremmo dire i boninian-pannelliani, dopo un lungo tira e molla con Berlusconi e relativa, gratuita, passerella, decidono di "correre da soli". Saranno il "terzo polo", o cercheranno di esserlo, avendo dovuto constatare che Berlusconi non è abbastanza bipo1are anzi bipartitico. Ora a me tocco di essere, se non proprio espulso, certo demonizzato e costretto a lasciare il mio partito perché mi ero opposto al suo scioglimento. Se il grottesco è suscettibile di comparazioni e di assonanze e "si parva licet" con quel che segue, si direbbe che c'è un filo conduttore tra eventi così diversi. Per questo, forse, avevo azzeccato subito come sarebbe andata a finire la trattativa.
Lo scioglimento, che poi si espresse nella complicata formula per la quale i radicali "in quanto tali" non si sarebbero mai più presentati alle elezioni, proclamando il carattere "transpartitico" del partito (come tale) nonché' "transnazionale", era stato, in verità, ripetutamente e lungamente annunciato. Sembrava, allinizio, che si trattasse di un brillante ricatto agli ignavi: se non vi iscrivete al Pr ci sciogliamo. E un ricatto anche agli altri partiti se non sovvenzionate Radio radicale, se non lasciate i vostri iscritti prendere la doppia tessera radicale, se non garantite uno scorcio di vita dignitosa e coccolata a questo partito eccetera eccetera, lo scioglieremo. E l'annuncio, in effetti, mobilitò un bel po' di leader dei partiti più o meno laici che corsero ai congressi radicali a dimostrare di essere i parenti più stretti e onorevoli meritevoli della successione legittima se non di quella testamentaria. Spadolini, ad esempio, fa commovente nella sua eloquenza.
Ma poi tra le "condizioni" per non sciogliersi (o scioglierci) Pannella pose ancora non so quanti altri iscritti da raccogliere, ma anche quella che, mi pare, 1.500 fossero non italiani. Era l'avvio della "svolta transnazionale", poi proclamata formalmente assieme a quella "transpartitica", che, a sua volta, veniva dopo un'improvvisa quanto perentoria opzione per il sistema maggioritario con il collegio uninominale secco all'inglese.
Il "mai più come tali" alle elezioni deliberato al congresso di Bologna nel 1988 partorì nel 1990, alle elezioni europee, le liste "antiproibizioniste" e due anni dopo, finalmente, le liste Pannella (ma Calderisi, Negri e Teodori con il povero Massimo Severo Giannini furono mandati fuori dai piedi a cimentarsi con una lista "referendaria" senza Pannella e "come tali" al totale insuccesso). Da ultimo, alle scorse europee, è arrivata la Lista Bonino.
Il carattere "transnazionale" (evitare assolutamente il termine "internazionale") si concretizzò essenzialmente in un programma turistico. Il primo congresso dell'era transnazionale fu tenuto a Budapest I consigli federali vagarono tra non so quale stazione invernale jugoslava, Madrid, Israele.
Ma ad un certo punto, mi pare in una riunione al Residence Ripetta a Roma, venne pure fuori l'idea di costituire un superpartito transnazionale formato da capi di Stato. Ve ne erano già alcuni africani amici di Pannella, al quale non sarebbe stata richiesta tale qualifica.
Devo dire che al congresso di Bologna a contrastare la svolta "transpartitica" e "transnazionale" con l'appendice del "mai più alle elezioni i radicali come tali" (che sembrava significare "mai più da soli", visto che il semplice cambiamento di sigla era al di là dell'immaginabile) mi trovai, ahimé, quasi solo. Quasi, perché Enzo Tortora mi fu accanto e non fu dunque un "quasi" da poco. Enzo di fronte all'entusiasmo per il partito "transnazionale" di cui nessuno sapeva dire cosa fosse, lo definì il "cacao Meravigliao" il prodotto inesistente oggetto della rutilante pubblicità della trasmissione di Arbore, allora in gran voga.
Solo sul letto di morte Tortora ebbe il perdono di Pannella.
Gli anni della diaspora radicale tra non expedit e referendum bomba
Le giravolte di Pannella e dei radicali più o meno transnazionali e transpartitici, "assenti ma presenti" (anche D'Annunzio era abruzzese, come Pannella) nelle competizioni elettorali dal 1992 in poi non sono state una novità assoluta. Anche in precedenza, alle scadenze elettorali regionali, il "non expedit" pontificale di Pannella gelava le velleità di intervento della "periferia" radicale. Il "localismo" sembra fosse per Pannella l'anticamera della "normalizzazione" del partito, del ripiegamento nel piccolo cabotaggio e la perdita di mordente nelle "combinazioni" sfuggenti al suo controllo. Piuttosto che vedere liste radicali per i comuni, le province e le regioni a un certo punto Marco invitò i radicali a "promuovere" liste verdi e azzurre (ecologismo marino). Fu una spinta decisiva perché i Verdi intraprendessero la via dei Partito del sole che ride (se non sbaglio il simbolo fu loro ceduto dai radicali che lo avevano depositato nel 1979). Qualche radicale si sistemò così definitivamente tra i Verdi assieme ai reduci dalla rivoluzione rossa. Altri tra cui diversi parlamentari, furono "spediti" più tardi a "occupare" altri partiti, che, per lo più, li rispedirono al mittente. A Giovanni Negri toccò la missione in casa socialdemocratica, dove poco mancò che fosse fatto a brani. Francesco Rutelli invece si sistemò benissimo tra le varie fazioni verdi, già nell'anticamera di sindaco di Roma.
Ma le singolarità, per così dire, elettorali radicali ebbero ben altre manifestazioni anche per le elezioni politiche. Nel 1983 l'anno dell'elezione di Tony Negri, furono presentate liste per Camera e Senato, con la raccomandazione agli elettori di non votare e non votarle e con la promessa che gli eletti non avrebbero a loro volta votato. Si trattò, tutto sommato, di un espediente per minimizzare l'insuccesso, conseguenza di una legislatura nella quale, più che una certa inerzia radicale, aveva prevalso l'inquietudine sospettosa dei vari ex extraparlamentari che nell"autobus" radicale erano saliti non ne erano scesi dopo d'elezioni ma si erano ben guardati dal pagare il biglietto.
Fu nel 1987 la candidatura di Cicciolina, con il tardivo invito a non votarla, clamorosamente disatteso dagli elettori, che a Roma città la preferirono a Pannella.
Il "non expedit" per le elezioni locali non si applicò poi all'elezione di Pannella (che del resto non poteva candidarsi che "in quanto tale" al Comune di Napoli dove si impegnò moltissimo, predicando nuove dimensioni istituzionali metropolitane, esperimenti di governo locale postmoderno eccetera eccetera, riscuotendo consensi inaspettati parte, ad esempio, di uno "statista", come tale scoperto in sede napoletana, Enzo Scotti. Bisogna dire che, con tutta la benevola attenzione prestata a Pannella, il Consiglio comunale di Napoli non perse neppure un poco delle sue inveterate abitudini, né si distrassero dalle loro ordinarie occupazioni i suoi componenti. Intanto, accanto alle intermittenze e alle originalità elettorali, andavano avanti gli impegni (e i disimpegni) referendari. La famosa "strategia referendaria" radicale si potrebbe riassumere in verità nella formula "lascia e raddoppia" o "raddoppia e lascia". Mentre aumentava progressivamente il numero dei referendum comunque sempre al di sopra della normale capacità di tenerne il conto, essi infatti venivano "lasciati" a quella che era oramai la discrezionalità selettiva della Corte costituzionale nell'ammetterli o bocciarli e poi alla casualità delle indicazioni di voto delle varie forze politiche, senz'alcun serio tentativo di metter assieme un fronte del Sì.
Ma soprattutto veniva abbandonata la difesa della scelta da effettuare o già effettuata dal voto popolare di fronte alle manipolazioni legislative dirette a "scongiurarne" gli effetti. Tipico esempio: la responsabilità civile dei magistrati. Rimasi inascoltato quando insorsi contro la messa in cantiere della legge addirittura prima dei referendum e fui lasciato solo in Parlamento a contrastare la legge-truffa. Sfiorai il successo con alcuni emendamenti che avrebbero intralcialo il marchingegno. Pannella se ne era andato in viaggio di studio in Sicilia. Rutelli la Aglietta e gli altri, in mancanza di "istruzioni" si defilarono. Il referendum era servito solo a far fare quadrato ai magistrati.
"Sgridato in francesce da marco, me ne andai senza capire una parola"
Contraddizioni, stravaganze e, per altro verso, sopportazione e perseveranza ebbero fín quasi alla fíne degli anni Ottanta un senso e costituiscono il prezzo che, con maggiore o minore consapevolezza di assurdità e di vuoti, in molti pagammo per inseguire ciò che allora sembrava volerci dare il Partito radicale e che solo così, e per l'indubbia abilità di Pannella di inventare e utilizzare spazi e occasioni, appariva raggiungibile. Era la creazione di una forza liberale, democratica e laica, non subaltema all'incombente e invadente realtà del compromesso storico, sbocco naturale del consociativismo degli anni Settanta.
Ma quando nel 1992 il regime democristiano-consociativo arrivò al capolinea, Il Partito radicale non c'era più. Non c'era a combattere la battaglia decisiva, ad assumere il ruolo che, malgrado tutto, era riuscito a conquistarsi, quello di partito antiregime. Sciogliersi, involarsi nella metapolitica, uscire dalla mischia, dissolversi nel mito: questo sembrò lo sbocco esistenziale della parabola politica di Pannella e del Partito radicale.
Aver visto sopraggiungere il momento della crisi del consociativismo, dei postclericalismo e del comunismo non mi consentì di concludere secondo logica la mia esperienza radicale. E tentare di impedire che si togliesse a quel partito l'occasione di misurarsi con un possibile sbocco di anni di lotte ridando razionalità all'irrazionale, non mi valse che i fulmini di Pannella. Al congresso del 1987-88 a Roma, all'hotel Ergife, Pannella mi investì con un discorso nel quale mi accusò di una sorta di epicureismo nella politica, di scrivere ogni tanto "un libro settecentesco" (gli feci notare che forse voleva dire ottocentesco: i libri dei Settecento, nientemeno, cambiarono la storia) e di non curarmi del "pane e dell'acqua dei compagnni". Espressione sibillina. Ma il senso del tutto era chiaro: sei un parassita di questo partito. A novembre del 1988 a Bologna
, all'altalena "sciogliere - non sciogliere" si sostituì la scelta 'transnazionale" e "transpartitica". Capii che la fuga nella metapolitica era tutt'altro che strumentale. I machiavellismi successivi hanno semplicemente reso un po' più opaco ed equivoco quel passo.
Me ne andai dopo un consiglio federale, convocato a Trieste non so più se a fine anno o ai primi del 1989, dopo un'altra intemerata di Pannella nei miei confronti, di cui però non seppi mai il contenuto. In ossequio alla scelta transnazionale Pannella severamente, dolorosamente e sprezzantemente (si vedeva dallo sguardo) mi redarguì in francese, sua lingua materna, per me sufficientemente incomprensibile. C'era (era d'obbligo nella liturgia transnazionale) la traduzione simultanea. Ma se ero disposto a farmi redarguire da Pannella non lo ero ad ascoltarlo con la cuffia. Avrei dovuto prenderla a ridere, ma vidi tutti gli altri che non ridevano, ma avevano assunto espressioni adeguate alle rampogne di Marco, pur non usando la cuffia e con una comprensione del francese non migliore della mia. Sorrideva, apparentemente compiaciuto, l'unico che sicuramente comprendeva benissimo il discorso, un tale Alexandre, belga francofono, che Pannella aveva cooptato nel consiglio federale.
C'era veramente poco da ridere.
Il mattino successivo il consiglio federale si trasferì in pullman in Jugoslavia, mi pare in una stazione sciistica della Slovenia. Io presi il treno per Roma. Restai nel gruppo parlamentare radicale. Non rinnovai l'iscrizione al partito. Non c'era più storia radicale, anche se nella cronaca finalmente Pannella sembra aver trovato il posto che aveva sempre lamentato gli fosse stato negato.
E anche la fuga nella metapolitica è ormai un ricordo.