I piaceri hanno vita breve, e non potrebbe essere altrimenti. E nella natura stessa del piacere l'essere volatile, evasivo, impossibile da trattenere. Come leggiamo nel De brevitate vitae, i piaceri iniziano a raffreddarsi nel momento di massimo fervore. La capacità di godere dell'uomo è minima, si esaurisce in un battibaleno, e l'eccitazione lascia subito il posto all'apatia e al torpore.
La felicità, al contrario, è insita solo nella durata. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che la causa ultima della miseria umana è l'incurabile fugacità della vita, l'imminenza della fine e l'orrore del vuoto che seguirà.
Ciò che l'uomo evoca nel suo sogno di felicità è il fermarsi del tempo: un essere umano che sia immune al suo fluire, non più vulnerabile al suo potere che tutto erode, polverizza, distrugge. I piaceri cooperano con la morte: abbreviano il tempo. A differenza dei piaceri, la felicità resiste alla morte: spoglia il tempo del suo potere distruttivo e ripara la devastazione che il tempo si lascia alle spalle.
BAUMAN Z. La società sotto assedio. Laterza, 2003. p 131