Israele,
settembre 1996 - Il tunnel degli Asmodei
Sono
rimasta disgustata ma non meravigliata dalle reazioni europee in seguito all'apertura del
tunnel degli Asmodei che dovrebbe collegare il Kotel (muro del pianto) alla Via Dolorosa e
al quartiere arabo della Città Vecchia di Gerusalemma.
Nel
sentire la notizia dell'apertura del tunnel, prima che Arafat urlasse al crimine e
accendesse il fuoco di una nuova intifada, ricordo di aver pensato ingenuamente che la
cosa era una buona cosa, che quel tunnel avrebbe unito di più le tre religioni perché le
porte vanno sempre aperte, mai chiuse, perché unire è sempre meglio che dividere,
perché anche i maggiorenti del quartieri arabi erano contenti dei turisti che il tunnel
avrebbe loro portato. Il mio ottimismo non aveva tenuto conto della diversa cultura tra
palestinesi e israeliani, non pensavo che una cosa semplice e normale fosse paragonata a
un crimine come lo ha subito definito Arafat. Ed è stata guerra. E ci sono stati altri
morti.
Ma non è
il comportamento di Arafat a disgustarmi . Conosciamo l'uomo, sappiamo tutti che per lui
la pace è solo una parola che esula dalla sua cultura, sappiamo che è un dittatore molto
furbo consapevole che la pace porterebbe benessere al suo popolo ma altrettanto
consapevole che quel benessere gli farebbe perdere il suo immenso potere di vita e di
morte sui palestinesi e il grande potere di cui gode in tutto il Medio Oriente. Quando,
mesi fa, ha esclamato :"Netaniahu dovrà incontrarmi perché io sono l'uomo più
importante di tutto il Medio Oriente" non era una battuta umoristica, no, aveva
perfettamente ragione. Arafat gode di un potere spaventoso, è riuscito a distruggere il
Libano, ad ammazzare Sadat, a fare terrorismo in tutto il mondo senza subire le
conseguenze, è riuscito a far tremare il trono di Hussein di Giordania e ad essere
coccolato dai potenti di tutto il mondo, evidentemente meno potenti di lui.
Arafat
può tutto e l'Europa è ai suoi piedi ed è questo amore servile verso il più grande
terrorista del secolo che mi disgusta.
Non appena
nei territori è scoppiata la rivolta la Francia, per non smentire se stessa e il suo
tradizionale antisemitismo, ha subito mandato al raiss la sua solidarietà, l'Italia ha
parlato di "provocazione israeliana" e Israele è rimasta di nuovo sola e
allibita.
Ci si
continuava a chiedere "Cosa abbiamo fatto? Cosa abbiamo fatto! Abbiamo aperto una
porta di comunicazione. Perché sta succedendo tutto questo? E' vero si poteva evitare di
fare arrabbiare il raiss ma da quando in qua uno stato sovrano deve chiedere il permesso
ai suoi nemici vicini per fare qualcosa, per giunta nella sua capitale?
Pare
proprio così, le condanne a Israele piovono da tutte le parti, in Italia i soliti
sbraitano "ecco, ecco cosa fanno questi israeliani!".
Cosa fanno
di grazia questi israeliani? Vogliono ritornare alla verità? Hanno aperto un tunnel ed è
scoppiata la rivolta. Vogliamo dare ad Arafat, una volta tanto, la responsabilità di aver
creato un elefante da un topolino per avere un pretesto di rivolta e vedere se il popolo
rispondeva ancora alla parola "intifada"?
E il suo
popolo ha risposto, può essere soddisfatto il raiss, ha risposto perché vive male,
perché a tre anni dall'autonomia il capo, il santo, il meraviglioso Arafat non ha fatto
niente e la gente dopo aver distrutto quello che Israele aveva costruito (le fogne per
esempio) può solo odiare. E gli è stato insegnato che deve odiare Israele. E' così che
tiene il suo popolo in pugno, è una vecchia, antichissima, tecnica di potere. E
all'ordine "intifada" è scoppiato l'odio più profondo, quell'odio che fa si
che ci siano migliaia di palestinesi in fila pronti a venire a far saltare gli autobus.
"Questo
è un crimine - ha urlato il raiss al mondo che lo ha ascoltato religiosamente - tutti gli
studenti in strada, intifada" e in strada sono andati tutti i bambini, vecchi, donne
e uomini scatenati urlanti il loro odio e a Gerusalemme, la nostra capitale, hanno
bruciato la nostra bandiera. E il mondo dal religioso silenzio, è passato alla severa
condanna non contro di loro ma contro Israele.
A Isreale
si chiede sempre il conto di ogni piccola cosa, se il raiss si innervosisce allora di
rischiano le trattative di pace ma nessuno ha mai chiesto ad Arafat il conto per il
terrorismo, per gli israeliani sgozzati, per gli autobus che saltavano in aria con
centinaia di morti.
E' curioso
ma tutti i nostri morti di questi ultimi tre anni non hanno mai messo in pericolo le
trattative di pace, nessuno in Italia o altrove ha gridato "ecco cosa fanno i
palestinesi". Erano questi nostri morti previsti dagli accordi di Oslo? Nessuno
chiede il conto alla Siria e all'Iran per il terrorismo "quotidiano" degli
Hezbollah. "Israele non muoverti" è questo lo slogan di sempre, oggi come ieri,
come durante la guerra del Golfo: "Israele non muoverti, lascia che gli arabi
facciano quello che vogliono, hanno il mondo in mano e tu Israele non sei che uno sputo di
territorio nella loto immensità violenta, perciò non muoverti senno ci rimettiamo
tutti".
Ma chi si
aspettava una simile reazione per l'apertura di un passaggio da un luogo santo a un altro?
E per quale segreto motivo il comportamento dei palestinesi ha sempre una giustificazione
e il comportamento di Israele è sempre condannabile?
Nessuno si
scandalizza quando Arafat parla e urla di una Gerusalemme araba, palestinese, islamica (è
forse previsto dagli accordi di Oslo che un dittatore possa pretendere come sua capitale
la capitale di un altro stato?). Non è forse questa una provocazione molto più grave di
una porta aperta? Gerusalemme non è mai stata una città palestinese perché la sua
popolazione è da sempre a maggioranza ebraica, perché è stata capotale solo
di Israele nei suoi 3000 anni di storia. Nei periodi di occupazione araba e turca è stata
tanto poco considerata da essere ridotta ad un villaggio polveroso rinascendo i tutto il
suo splendore dopo la liberazione dall'occupazione giordana nel 1967. Arafat si inventa la
storia ma non può inventarsi una Gerusalemme palestinese perché non è mai esistito uno
stato palestinese nella storia del mondo.
Prima di
venire definitivamente in Israele ero sicura che la pace avrebbe vinto ma da quando vivo
in questo paese meraviglioso e vedo ogni giorno alla TV israeliana e arabo-israeliana la
forza dell'odio dei nostri vicini, anche in periodo abbastanza tranquilli, poso dire
melanconicamente il contrario. Pace non è una parola, è un sentimento che deve
riscaldare il cuore della gente e nel cuore die palestinesi, che per generazioni sono
cresciuti nell'odio più profondo, non c'è posto per altri sentimenti. Nessuna dittatura
ha mai parlato di pace al popolo e il fondamentalismo di cui sono imbevuti insegna loro
che odiare gli ebrei e Israele è un onore così grande che li può portare dritti nel
loro paradiso islamico. Qui si respira il loro odio, ne siamo avvolti e lo vediamo con
raccapriccio quando la TV mostra i funerali dei loro morti, funerali pieni di violenza con
la salma ballonzante portata in giro correndo e urlando, così diversi dai funerali colmi
di dolore e di lacrime purtroppo tanto frequenti in Israele.
Non ci sarà mai la pace in questa terra e di questo anche il mondo
occidentale con al sua sottomissione e con il suo interessato e pusillanime
"amore" per tutti i dittatori e terroristi arabi, è responsabile.
Io piango per i nostri e per i loro figli.
Piango di rabbia per i giovani palestinesi che tentano di spegnere il loro
odio venendo a suicidarsi in Israele, la terra odiata, per spegnere la loro sete nel
sangue degli ebrei.
Piango di dolore per i nostri ragazzi di 20 anni che vogliono vivere e
amare e che muoiono perché Israele viva.
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