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"...eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerá nuovamente al bene,che ritorneranno l'ordine, la pace, la serenitá"Annalies Marie Frank
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La tradizione ebraica: Sion e Israel

La tradizione ebraica è profondamente differente. Non è necessario qui entrare nella questione della preistoria di Gerusalemme, la "fondazione della divinità Shalem", e del suo ruolo come città santa, cioè come centro di culto nei tempi precedenti alla presenza degli israeliti, dei gebusei e anche delle popolazioni anteriori ai gebusei. Per il nostro scopo è sufficiente ricordarci del fatto che Gerusalemme non fa parte delle più antiche tradizioni ebraiche, quali appaiono nei corrispondenti strati del testo biblico. Gerusalemme non era il maggior centro di culto né all'epoca dei patriarchi né durante il periodo immediatamente successivo alla conquista ebraica. I centri di culto erano Shilo, Beth-El, Shechem e altri. L'episodio dell'incontro di Abramo con Melchisedek, il sacerdote-re di Shalem (Gen.14) riflette probabilmente un'ideologia più tarda, posteriore a David, tendente a rafforzare il legame della città santa con il progenitore della nazione. Gerusalemme è entrata nella storia ebraica e nella coscienza storico-religiosa degli ebrei all'epoca di David. La storia della conquista della città, così come le ragioni che indussero David a farne un centro simbolico--sia rituale sia politico--sono troppo note perché si debba ripeterle qui. E' sufficiente dire che David fece di Gerusalemme la pietra angolare dell'unificazione religiosa, cultuale e nazionale del popolo d'Israele. Come ha scritto il Prof. Shemaryahu Talmon (22). "Gerusalemme divenne così il simbolo e l'espressione più significativa del passaggio dalla 'condizione di popolo' alla formazione di una 'nazione' e di uno 'stato'. Ma la città non fu mai completamente subordinata a questo nuovo fenomeno sociale, né con esso identificata, e perciò, quando lo stato cessò di esistere, Gerusalemme non perse la sua importanza e il suo valore simbolico per il popolo ebraico. La città, che nell'antichità aveva subito una decisiva trasformazione del suo significato, poté facilmente adattarsi alle successive diverse situazioni storiche. Ed essa, in realtà, ha fatto così per molti secoli senza perdere il suo prestigio e il valore simbolico che le era stato conferito da David". Invero, l'aspetto sorprendente e cruciale della storia è la profondità e la tenacia con cui la "coscienza di Gerusalemme" (come vorrei chiamarla) ha messo radici nel sentimento, nella fede, nella teologia degli ebrei. Gerusalemme era la città che Dio aveva scelto, e la scelta di questa città era parte fondamentale del patto di Dio con il Suo popolo, come del Suo patto con David e la sua discendenza, ed era eterno come il Suo patto con la natura (cf. Geremia 31:34-39 e 33:14-26).

Il significato di Gerusalemme, che ha poi determinato l'autocomprensione e la coscienza storica ebraica, è compiutamente formulato nei Profeti e nel libro dei Salmi. Gerusalemme e Sion sono sinonimi, e sono giunti a significare non soltanto la città ma tutta la terra e il popolo ebraico (ossia quanto di esso rimaneva). Quando l'autore delle Lamentazioni piange sulla distruzione della "figlia di Gerusalemme" e sull'esilio dei "figli di Sion" si riferisce evidentemente al popolo; e quando il profeta noto come il Deutero-lsaia rapsodicamente esulta per la gioia di Sion quando i suoi figli ritorneranno a lei dalla dispersione, egli chiaramente si riferisce al popolo e al paese come entità storiche. La città, il paese e il popolo divengono un tutto unico in una grande fusione simbolica. Sion, cioè Gerusalemme, è la "Madre" anche nel linguaggio simbolico ebraico, e le stesse figure stilistiche che l'idioma cristiano usa in rapporto alla 'mater ecclesia', sono usate dagli antichi rabbini per la keneseth Yisrael, identificata con Sion e Gerusalemme in quanto 'madre'. Queste equazioni simboliche sono un tratto distintivo permanente dell'esperienza ebraica fin dall'epoca del Salmista. L'identificazione di Sion e Gerusalemme con la madre vedova, addolorata e in lutto, che un giorno esulterà e gioirà di nuovo quando i suoi figli si riuniranno in lei, è uno dei motivi fondamentali delle immagini tradizionali ebraiche fin da quando il modello fu stabilito dal Deutero-Isaia. I dottori del Talmud, nei loro numerosi commenti su questo tema, hanno formulato più esplicitamente ciò che era già implicito nei profeti e in molti salmi.

Il versetto del profeta (Isaia 49:14) "E Sion ha detto: il Signore mi ha abbandonata" è parafrasato nel Talmud (23). - come una cosa naturale - "l'adunanza d'Israele ha detto:...". L'espressione liturgica perfetta di questo simbolismo si trova nel rituale ebraico del matrimonio, in cui una delle benedizioni liturgiche dice così: "Possa colei che era sterile (cioè Sion) essere estremamente felice e esultare quando i suoi figli saranno riuniti in lei nella gioia. Benedetto sii Tu, o Signore, che rendi lieta Sion per mezzo dei suoi figli". Un'altra versione della stessa benedizione termina con le parole "...che rendi lieta Sion e ricostruisci Gerusalemme". In modo simile una delle benedizioni che si recitano ogni sabato dopo la lettura del brano profetico dice: "Abbi pietà di Sion che è a dimora della nostra vita... Benedetto sii tu, o Signore, che fai gioire Sion nei suoi figli".

Nella sfera di questo studio non è possibile esaminare, nemmeno in una rapida rassegna, il ruolo di Sion, o di Gerusalemme, nella liturgia quotidiana, nella benedizione di ringraziamento dopo ogni pasto, e nella poesia e negli scritti omiletici dell'ebraismo medievale. Il punto che io desidero sottolineare qui è la funzione semantica di un termine geografico per designare un'entità storica, ma in maniera tale che la storia rimane ancorata a un centro geografico concreto, sia che si tratti del luogo di origine (il patto della terra promessa e della città eletta) e della catastrofe e della sofferenza (l'esilio, la dispersione), sia che si tratti del luogo escatologico (della redenzione e del futuro ritorno). La tradizione rabbinica ha raccolto e sviluppato in un suo modo particolare a nozione di una Gerusalemme celeste che aveva cominciato a diffondersi e a evolversi nel periodo intertestamentario. Ma nella tradizione rabbinica la priorità è invertita rispetto alla tradizione cristiana, nella quale il simbolismo della Gerusalemme celeste tende a prevalere. La liturgia, la pietà popolare, il simbolismo religioso, e la speranza messianica--anche nelle sue forme laiche dei secoli XIX e XX--si riferiscono anzitutto e soprattutto alla Gerusalemme terrestre come ;simbolo della riunione del popolo nella sua terra promessa, su questa terra. Un detto rabbinico molto impressionante va al di là del modo abituale di invertire la cosmologia apocalittica, secondo la quale la Gerusalemme terrestre non è che un riflesso della Gerusalemme celeste. Secondo questo midrash(24). "voi trovate anche che c'è una Gerusalemme n alto, corrispondente alla Gerusalemme in basso. Per puro amore della Gerusalemme terrestre, Dio se ne è fatta una in alto". In altre parole, la Gerusalemme terrestre non riflette un archetipo celeste, nè trae il suo significato dal fatto che rispecchia una realtà celeste. Essa è un valore in se stessa, e come tale è l'archetipo della Gerusalemme celeste di Dio. Secondo questa tradizione, la pienezza spirituale non può essere raggiunta riducendo al minimo la sfera storica con le sue realtà materiali, sociali e politiche. La Gerusalemme ideale, restaurata, della visione di Geremia è una città, anzi un centro politico, pieno di attività, di vita e di popolo: "Poiché, se voi farete realmente queste cose, dei re assisi sul trono di David entreranno per le porte di questa casa (cioè questa città), montati su carri e su cavalli, essi, i loro servitori e il loro popolo" (Geremia 22:4). Si può notare incidentalmente il plurale "dei re assisi sul trono" nella visione di Geremia. La nozione escatologica del messia uno figlio di David non si era ancora sviluppata. Cito ancora una volta il prof. Shemaryahu Talmon: "Tuttavia, anche al culmine del suo sviluppo, l'idea della Gerusalemme celeste come è stata concepita nel pensiero ebraico e anche nell'immaginazione mistica, non ha mai perduto il contatto con la realtà terrestre. Un definito senso di questo legame con la terra... sembra permeare la religione normativa ebraica in tutte le sue ramificazioni" (25). Il più antico riferimento a una Gerusalemme celeste nella letteratura talmudica pone le seguenti, e alquanto sorprendenti, parole nella bocca di Dio stesso, che dice: "lo non entreró nella Gerusalemme celeste finchè non sarò entrato perima nella Gerusalemme terrestre (26).

Se è vero. come io ho suggerito che i termini sinonimi Gerusalemme e Sion hanno simbolizzato la realtà storica di un popolo e il suo legame a una terra, si può forse giungere a una migliore comprensione (benché non necessariamente a una affermazione) delle fasi moderne e laiche di questa realtà storica. Il movimento nazionale ebraico moderno non ha preso il suo nome né da quello di un paese o di un popolo, ma da quello di una città: Sionismo. L'inno del movimento sionistico, che nel 1948 è diventato l'inno nazionale d'Israele, parla dell'"occhio che guarda verso Sion" e della millenaria speranza di un ritorno alla "terre di Sion e Gerusalemme". L'inno, noto come ha-Tiqvah ("la speranza"), è invero poesia povera, goffa e sentimentale, ma nonostante ciò esprime l'essenziale consapevolezza del popolo ebraico che al centro della sua esistenza c'è un indissolubile legame con la terra, e che al centro di questo centro è Sion, la città di David. Gerusalemme e Sion sono nomi geografici che hanno un significato al di là della pura e semplice geografia, ma che non restano al di fuori della geografia: essi sono "il luogo, la dimora e il nome" di un'esistenza storica e della sua continuità --un'esistenza che per gli ebrei religiosi ha dimensioni religiose e per gli ebrei laici è suscettibile di una formulazione laica.

 

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Ultimo aggiornamento: 16/01/10