|
Somiglianze, differenze e speranze
In conclusione vorrei esaminare le implicazioni pratiche e anche politiche di ciò che è stato detto fin qui. Gerusalemme, che un'etimologia popolare, certamente con lodevoli intenzioni ma con scarse giustificazioni filologiche e, in questo caso, anche storiche, ha interpretato come "città di pace", ha visto spargimenti di sangue, guerre, odio, conquiste e lotte micidiali forse più di qualsiasi altra città. Anche oggi, in quest'epoca che si definisce laica, argomenti e simboli religiosi sono schierati e forzatamente messi al servizio delle aspirazioni politiche e della lotta fra nazionalismi in conflitto. Certamente lo studioso di religioni comparate deve guardarsi dal fare il gioco di una politica partigiana e della sua propaganda. Nessuna esperienza religiosa o storica, benché sia autentica e genuina, e benché sia normativa per il gruppo che la afferma, può pretendere di avere lo stesso valore normativo e la stessa validità per gli assertori di altre esperienze che possiedono le loro proprie caratteristiche e i propri simboli. Ma lo studio delle religioni comparate può aiutare a capire: a capire la varietà e la profondità delle emozioni, i differenti tipi delle implicite realtà simboliche e mitiche, e le scelte, le possibilità e i limiti che ogni gruppo religioso conosce all'interno della sua propria struttura simbolica.Su un punto importante sembra che ci sia una differenza cruciale fra il modo ebraico di considerare Gerusalemme da un lato, e quello del cristianesimo e dell'Islam dall'altro. La differenza è stata espressa molto lucidamente dal prof. Krister Stendahk (27) che ha scritto (28):Per i cristiani e i musulmani questa definizione (cioè "luoghi santi") e un 'espressione adeguata per designare ciò che è in causa. Qui si trovano luoghi santi, consacrati dai più santi eventi, qui si trovano luoghi di pellegrinaggio, il vero centro della piu alta devozione .. Ma l'ebraismo e differente... I luoghi sacri per l'ebraismo non hanno reliquie. La sua religione non e legata ai luoghi ma alla terra, non a cio che e accaduto a Gerusalemme ma a Gerusalemme stessa._ tradizione cristiana ha conservato, invero, molto dell'ampiezza e molte delle risonanze bibliche della parola Gerusalemme, sebbene queste siano state attenuate dalla "deterritorializzazione" cristiana del concetto, un cambiamento da centro geografico a centro personale, e--in modo più generale -- un orientamento verso le categorie universali delle persone e della comunità. Inoltre l'accentuazione del significato spirituale si andò concentrando sulla Gerusalemme celeste, mentre la Gerusalemme terrestre diventava soltanto un ricordo degli eventi sacri che vi erano accaduti. Da questa concezione non può scaturire nessuna finalità politica--a meno che le chiese non ricadano in una mentalità da crociati, in un antiquato trionfalismo che confonda le sue ambizioni politiche con gli "interessi spirituali", oppure in una pura ipocrisia che cerchi di trarre un profitto politico da un simbolismo e da un messaggio che sono dichiaratamente soltanto religiosi e universali.Il caso dell'Islam è ancora diverso. Il fatto che uno storico non musulmano consideri il legame fra i musulmani e al-Kuds basato su una pura leggenda è, come ho detto prima, totalmente trascurabile. Al-Kuds, insieme con le tradizioni della Israele' e del mi'radj, è profondamente radicata nella fede e nella devozione musulmane. E' parte integrante dell'avvenimento supremo della loro storia religiosa: il ministero di Maometto quale messaggero di Allah e il suggello della profezia. Ma questo fatto ha anche delle implicazioni politiche, poiché l'Islam, secondo le sue proprie concezioni, non ha mai preteso di fare distinzione tra la sfera religiosa e la sfera secolare, distinzione che è caratteristica della tradizione cristiana. Perciò l'interesse politico musulmano per Gerusalemme non ha mai avuto la spiacevole intonazione d'ipocrisia che spesso hanno le rivendicazioni cristiane sulla città santa. E' vero che per l'Islam Gerusalemme non è una città santa nel senso ebraico di questa espressione. In senso stretto si tratta di un luogo santo situato a Gerusalemme. Ma il fatto stesso che il nobile haram, "del quale noi abbiamo benedetto l'area circostante", si trovi lì, crea una quasi naturale presunzione che la città debba essere parte del daral-Islam. La natura di questo diritto presunto richiederebbe forse un nuovo esame alla luce del moderno nazionalismo arabo, che si autodefinisce laico, le cui aspirazioni sono condivise dai musulmani, dai rivoluzionari antimusulmani e anche dagli arabi cristiani. Ma, sebbene l'argomento possa religiosa, il potente per aver perduto molto della sua dimensione genuinamente richiamo alla santità di Gerusalemme è ancora abbastanza destare entusiasmo e infiammare passioni.Per il popolo ebraico, come si è visto, Gerusalemme non è una città che contenga luoghi santi o che ricordi eventi santi. La città come tale è santa e, per almeno 2500 anni, è stata il simbolo dell'esistenza storica di un popolo perseguitato, umiliato, massacrato, che però non ha mai disperato della promessa del suo futuro ritorno. Gerusalemme e Sion, come ho già detto, sono divenuti "il luogo e il nome" della speranza e del significato dell'esistenza del popolo ebraico, e della sua continuità, dal tempo in cui, secondo gli autori dei libri biblici, Dio aveva parlato di un luogo che Egli avrebbe scelto, fino al momento del ritorno che--per quanto potesse sembrare improbabile--gli ebrei non hanno mai messo in dubbio. Comprendendo la funzione simbolica di Gerusalemme nella tradizione ebraica, si giunge a vedere che anche l'uso di questo simbolo da parte di laici dichiarati ha una legittimità che non ha paralleli in nessuna altra tradizione. Quando i laici ebrei dicono "Gerusalemme", Gerusalemme è, mutatis mutandis, come la parola con cui si apriva il famoso discorso del generale De Gaulle dopo la liberazione di Parigi: París, e Parigi significava la Francia e il popolo francese, la sua storia, la sua sofferenza, la sua liberazione. C'è, beninteso, la significativa differenza che "Gerusalemme" ha radici molto più profonde nell'anima ebraica, e come simbolo ha un riferimento trascendentale unico, che non è paragonabile a nessun altro in nessun'altra società.Tuttavia io ho scelto quest'ultimo esempio intenzionalmente, perché comporta qualcosa che sconcerta profondamente. Possiamo noi, dobbiamo noi, nella seconda metà del XX secolo, fare uso di simboli religiosi, anche laicizzati, che diventano facilmente degli slogan la cui dubbia vitalità deriva dalle loro radici mitologiche? Possiamo noi impegnarci in una politica costruttiva e moralmente responsabile rendendoci prigionieri di simboli, benché siano venerabili e santi? Possiamo noi portare la santità nelle nostre vite personali e nella nostra vita collettiva per mezzo di una mitologia della santità che troppo facilmente degenera in propaganda partigiana? Queste sono domande alle quali non è facile rispondere, perché i simboli non possono essere rimossi con un disinvolto gesto della mano come come semplici slogan o anacronismi mitologici. Talvolta essi sono il sedimento di verità coscienti e incoscienti che costituiscono la vita di una comunità. Sfortunatamente Gerusalemme è, a livello internazionale e politico, un simbolo non tanto di santità e di pace quanto di lotta e di contrastanti aspirazioni. Come si è detto sopra, la corretta etimologia del nome Gerusalemme non è quella popolare che interpreta la parola come "città di pace". Ma coloro che amano Gerusalemme e cercano la sua pace, e in primo luogo tutti coloro che si chiamano, si autodefiniscono, figli di Abramo e per i quali Gerusalemme è ancora un nome ricco di significato, adotteranno molto volentieri l'etimologia popolare, non come esatta interpretazione filologica, ma come l'espressione della speranza che tutti coloro che vivono, o visitano, o vengono a Gerusalemme siano (secondo le parole dei Salmi, 122:8) fratelli e compagni, e "ora diranno: la pace sia dentro di te."
|
Associazione di Amicizia Marche Israele - Pagina attiva dal 1995 - E
mail: aami@eclettico.org |