Dunque, riassumendo la cronologia:
Scenari iniziali, più di due milioni di anni fa, nell’Homo habilis: gara di canto, ‘spidocchiatura verbale’.
Scenari medi, circa un milione di anni fa, nell’Homo erectus: caccia alla carcassa, lezione di produzione di accette, passaggio dalla ‘spidocchiatura verbale’ alla trasmissione di un messaggio, forme elementari di controllo sociale e ‘istruzione dell’immaginazione’
Scenari tardi, tra i cinquecentomila e i duecentomila anni fa: varie forme di narrazione, uso del linguaggio mirato all’affermazione sociale, un livello più avanzato di controllo sociale e ‘istruzione dell’immaginazione’.
È anche possibile raggruppare queste diverse idee a seconda del tipo di uso della lingua a cui danno preminenza:
Estetico. Qui, il fulcro è la forma: la lingua deve in primo luogo avere un suono piacevole, non è necessario che sia portatrice di significati. In questa categoria rientrano la gara di canto e la prima ‘spidocchiatura verbale’ di Dunbar. Se in questi scenari la caratteristica precipua del linguaggio è la bellezza, queste fasi vanno collocate in una fase iniziale del suo sviluppo, ma vanno ancora nella direzione sbagliata, perché si allontanano dalla trasmissione di significati, che è un elemento centrale della lingua, e che la distingue dalla comunicazione di qualunque altra specie biologica.
Strumentale. Qui, il fulcro è la funzione: la lingua ha un uso pratico, che è la trasmissione di messaggi, e quello che conta è il contenuto di questi messaggi. In questa categoria rientrano i cacciatori di carcasse, i politici, gli insegnanti di produzione di accette e anche i controllori sociali. Trovare un vantaggio evolutivo in una comunicazione strumentale non è poi così difficile; semmai, il problema sta nello spiegare come mai la lingua non abbia comportato lo stesso vantaggio per gli altri primati. Inoltre occorre tener conto di chi beneficia dalla comunicazione: il beneficio deve essere reciproco, in modo che tanto il parlante quanto l’ascoltatore abbiano da guadagnare dalla trasmissione del messaggio. La comunicazione strumentale diventa facilmente unilaterale: o il parlante vuole qualcosa dall’ascoltatore – e in quel caso l’interesse è tutto suo – oppure gli fornisce un’informazione, e a beneficiarne è soltanto il destinatario. Per certi versi, è strumentale anche lo scenario di Dor, ma su un altro livello: riguarda una forma più intima di trasmissione del pensiero. In questo modello non c’è soltanto l’invio un messaggio (che potrebbe benissimo comportare un beneficio reciproco), ma anche una manipolazione dell’ascoltatore da parte del parlante (e dunque il vantaggio non è più di entrambi, anche se dal punto di vista del parlante siamo comunque nell’ambito di una comunicazione strumentale).
Gerarchizzante. Questa è una forma intermedia: la funzione significante della lingua è importante, ma la comunicazione non è principalmente strumentale sul piano pratico. Il vantaggio evolutivo proviene dallo status più elevato che si ottiene quando si è bravi a parlare. Questo può forse ricordarci la gara di canto, con la differenza che la lingua gerarchizzante poggia sulle caratteristiche principali della facoltà verbale. Lo scenario che più di ogni altro trova posto in questa categoria è quello di Dessalles.
Johansson, Sverker. L'alba del linguaggio (Italian Edition) (posizioni nel Kindle 4145-4170). Ponte alle Grazie. Edizione del Kindle.
L'immagine complessiva è quella di una tragedia, di una dialettica contorta d'inestricabili contraddizioni: l'assoluto che si manifesta solo nella particolarità degli individui e dei loro incontri; il permanente che si nasconde dietro episodi sfuggenti, il normale dietro l'eccezionale.
Soprattutto, il dramma della modernità deriva dalla «tragedia della cultura», dall'incapacità umana di assimilare prodotti culturali sovrabbondanti a causa della creatività scatenata dello spirito umano. Una volta messi in moto, i processi culturali acquistano una loro dinamica, sviluppano una loro logica e producono nuove molteplici realtà che fronteggiano gli individui come un mondo esterno, oggettivo, troppo potente e distante per essere «risoggettivato». La ricchezza della cultura oggettiva si traduce quindi nella povertà culturale degli esseri umani individuali, che ora agiscono secondo un principio di omnia habentes, nihil possidente [avere tutto, non possedere nulla] (secondo l'inversione che Giinther S. Stent fece del famoso principio di san Francesco).
Una frenetica ricerca di oggetti di cui appropriarsi cerca invano di sostituire la riappropriazione di significati perduti.
Z. Bauman. La decadenza degli intellettuali Bollati Boringhieri 2007 pag 135
Una variante dell'esperimento base mostra un dilemma più comune di quello descritto sopra: al soggetto non veniva richiesto di premere il pulsante della scossa, ma soltanto di compiere un atto sussidiario, cioè di leggere le coppie di associazioni verbali, mentre un altro soggetto azionava il generatore. In questa prova, sui 40 adulti provenienti dalla zona di New Haven, 37 hanno proseguito finché il soggetto aveva ricevuto tutte le scosse del generatore. Come ci si poteva aspettare, questi soggetti hanno giustificato il loro comportamento scaricando la responsabilità sulla persona che compiva l'atto materiale di premere il pulsante. Questo può illustrare una situazione pericolosamente tipica in una società complessa: quando si è soltanto un anello di una catena, è facile, dal punto di vista psicologico, giustificare il proprio operato, allorché si è lontani dalle sue conseguenze ultime.
MILGRAM S. Obbedienza all’autorità. Biblioteca Einaudi, 2003. p. 12