Lasciatemi riassumere quanto precede in termini leggermente più astratti. Il grande agglomerato che chiamiamo «io» da nel suo insieme origine, in un dato momento, a una qualche azione nel mondo esterno, più o meno come un sasso gettato in uno stagno produce sulla superficie dell'acqua delle increspature che si espandono ad anello. In breve tempo, le miriadi di conseguenze della nostra azione iniziano a rimbalzare verso di noi, proprio come le prime increspature tornano indietro dopo essere rimbalzate sulla riva dello stagno. Quello che riceviamo di ritorno ci permette di percepire quello che il nostro io in graduale metamorfosi ha prodotto. Milioni di minuscoli segnali riflessi ci influenzano dall'esterno, siano essi visivi, acustici, tattili, o di qualunque altro tipo, e quando arrivano a destinazione, innescano onde interne di segnali secondari e terziari dentro il nostro cervello.
HOFSTADTER D. Anelli dell'io. Mondadori, 2008. p. 229
Alla fine noi, miraggi che si autopercepiscono, sì autoinventano, si autoconsolidano, siamo piccoli miracoli di autoreferenza. Crediamo in biglie che si disintegrano non appena ci mettiamo a cercarle, ma che, quando non le cerchiamo, sono reali come qualsia si autentica biglia. È la nostra stessa natura a impedirci una piena comprensione della loro natura. Sospesi a metà tra l'inconcepibile immensità cosmica dello spazio-tempo relativistico e il guizzare elusivo e indistinto di cariche quantiche, noi esseri umani, più simili ad arcobaleni e miraggi che ad architravi o macigni, siamo imprevedibili poemi che scrivono sé stessi - vaghi, metaforici, ambigui, e a volte straordinariamente belli.
Probabilmente, vedere noi stessi in questa maniera non è così rassicurante come credere in ineffabili aure ultraterrene dotate di esistenza eterna, ma ha le sue compensazioni. Ciò che si perde è quella intuizione infantile che ci porta a credere che le cose sono esattamente come appaiono, e il nostro io, apparentemente solido come una biglia, è la cosa più reale al mondo; ciò che si guadagna è la consapevolezza di quanto impalpabili e rarefatti siamo nel cuore stesso della nostra interiorità, e di quanto siamo radicalmente diversi da ciò che sembriamo. Come Kurt Godel, con i suoi inaspettati strani anelli, ci ha offerto una visione più profonda e penetrante di ciò che significa la matematica, così la rappresentazione delle nostre essenze come strani anelli ci offre una visione più profonda e penetrante dì ciò che vuoi dire essere umani. E, secondo me, la perdita vale il guadagno.
HOFSTADTER D. Anelli dell'io. Mondadori, 2008. p. 434