discolpa

Ritorna il mantra della preoccupazione: "Ma come andrà a finire?". Non stiamo forse tendendo a una società "clinicizzata" al cento per cento, nella quale nessuno sarà più responsabile e tutti saranno vittime di una certa sfortunata caratteristica presente nel loro ambiente (natura o cultura)?
No, non è così, perché ci sono delle forze - non forze metafisiche misteriose, ma forze sociali e politiche facilmente individuabili - che si oppongono a questa tendenza, e sono dello stesso tipo, di fatto, delle forze che impediscono che l'età minima per la guida salga, diciamo, a trent'anni! 
La gente vuole che la si possa giudicare responsabile. 
I benefici di cui godono tutti i cittadini che occupano una buona posizione all'interno di una società libera sono così diffusamente e profondamente apprezzati che c'è sempre una potente presunzione a diventare come loro. La colpa è il prezzo che dobbiamo pagare per il riconoscimento, e lo paghiamo con piacere nella maggior parte delle circostanze. Paghiamo caro, accettando la punizione e l'umiliazione pubblica per avere una possibilità dì tornare nel gioco dopo essere stati sorpresi nel compimento di qualche trasgressione. E quindi, la migliore strategia per poter tenere le posizioni contro la discolpa strisciante è chiara: proteggere e incrementare il valore delle partite che una persona sta giocando se è un cittadino in una buona posizione. 
È l'erosione di questi benefici, non la marcia in avanti delle scienze umane e biologiche, che minaccia l'equilibrio sociale (ricordare lo slogan cinico che ha accompagnato la decadenza e il collasso finale dell'URSS: loro fanno finta di pagarci e noi facciamo finta di lavorare).

DC Dennett. L'evoluzione della libertà. Raffaello Cortina, 2004: 387 

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